Le riforme vanno fatte bene: le ragioni del mio no al referendum.

Cerco subito di sgomberare il campo da fraintendimenti eventuali sul ragionamento: domenica voterò no al referendum che vuole ridurre il numero dei parlamentari. Lo farò per andare contro Giggino? Assolutamente no. O almeno non in modo così semplicistico. Il mio convinto no deriva da una serie di ragioni tanto oggettive da rendere a mio avviso le ragioni del sì soltanto un giustificarsi e arrampicarsi sugli specchi, sull’onda di una retorica populista che non va affatto bene al Paese.
Intanto cerchiamo di definire i termini della questione: votare la riforma significa avallare che i deputati alla Camera si ridurranno da 630 a 400, i senatori da 315 a 200. In percentuale significa un taglio del 36,5 per cento dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: 345 politici in meno. “Un risparmio enorme” sostengono i sostenitori del sì, oppure anche “mandiamo a casa questi ladri” urlano i più arrabbiati. Sui conti dirò tra poco. Ma sull’odio nei confronti di chi dovrebbe rappresentarci scriverò subito: se si elegge un parlamentare sbagliato, il problema non sta nel numero, che invece garantisce una certa rappresentatività dei territori, ma nella scelta della persona. Il problema, eventualmente, può essere ricondotto alla scelta di chi deve rappresentarci in Parlamento. Un obiettivo che non si attua con il taglio dei parlamentari, ma con l’aumento della qualità delle scelte. Vengo ai costi. I 5 Stelle parlano di 500 milioni di euro risparmiati a legislatura, ma non è così. Dal momento che il taglio non incide sulle spese delle camere e sul personale, il risparmio dovrebbe aggirarsi sui 60 milioni l’anno, 1 euro all’anno per cittadino. Una cifra che non incide su nessun capitolo alternativo di spesa o investimento. Si pensi che il costo della Camera si aggira sui 975 milioni di euro circa, mentre il Senato costa 550 milioni di euro alle casse dello Stato.
Già da queste prime considerazioni si capisce quanta demagogia ci sia nella richiesta. Ma non basta.
Anche se può non piacere, in Italia il rapporto tra abitanti e rappresentanti (in Parlamento) non è affatto tra i più alti. E non parliamo di come sarebbe la situazione se vincesse il sì: l’Italia resterebbe il paese con il minor numero di deputati in rapporto alla popolazione: 0,7 ogni 100.000 abitanti, meno ancora della Spagna che attualmente ne ha 0,8 ogni 100.000 abitanti. La nostra situazione attuale (1 ogni 100.000) è assolutamente allineata a quella dei paesi più ricchi quali Francia e Germania, dove il rapporto è 0,9.
Con il taglio, al Senato, i collegi uninominali avranno una dimensione media superiore agli 800.000 elettori, alla Camera di oltre 400.000. E dopo aver tagliato i fondi ai partiti, che non dispongono ormai di risorse scarse, è facile immaginare come in una campagna elettorale ci si concentrerà sulle aree densamente abitate, le grandi città, evitando di perdere tempo e risorse nelle zone meno popolose. E questo per me è un grave problema, da evitare.
Davvero vogliamo credere alla favoletta che le leggi in Italia rallentano per via dell’attuale ripartizione dei parlamentari? Ma non scherziamo. E comunque, si vuole una mono camerale? Bene, si faccia una legge prima, si presenti una legge elettorale e poi si provvedano a riformare le rappresentanze, non il contrario.
In questo modo, così come sono state fatte, invece, è assurdo. E trovo assurdo chiedere ai cittadini di avallare un taglio senza presupposti, sulle ali dell’ “honestà”. Molti abboccheranno. Ho sentito molte persone, al bar e in piazza, senza riflessione, sbavare infuriate sul “mandiamoli a casa”. Peccato che queste persone non capiscano, o non vogliano farlo coscientemente, che siamo noi ad andare a casa, la nostra rappresentatività, le nostre possibilità di mantenere in piedi una democrazia sicura e non questo o quel politico “pelandrone” che dà fastidio. Per mandare a casa quello basta non eleggerlo più, non riformare lo Stato verso il basso. Potrei andare avanti ancora a lungo, citando principi giuridici e quant’altro. Ma la sostanza è chiara: non si può chiedere di fare riforme incomplete. Potrei anche essere d’accordo su alcuni principi di riforma, ma non in questo modo e, soprattutto, non a tutti i costi, specie quando il costo rischia di essere pagato molto caro sulla pelle di tutti noi.