Celebrare centouno anni dopo l’anniversario della resa degli austro-ungarici nella Grande Guerra significa, ancora oggi, ricordare i milioni di italiani che in quella guerra di trincea hanno combattuto per l’onore della Patria.
Significa tramandare alle nuove generazioni, e generazione dopo generazione, ancora oggi che sembra una data così distante il valore di difendere i nostri confini e le nostre famiglie come hanno fatto gli oltre 800.000 ragazzi e uomini che da quelle trincee sul Carso e sul Piave, non hanno più fatto ritorno a casa.
Sono date lontane già per la mia generazione, distanti per la generazione di mio figlio e probabilmente totalmente relegate alla storia per quelli che saranno i suoi figli. Ma continuare a ricordarle, tramandarle, raccontando quelle storie, è un nostro dovere morale oltre che un fermo impegno civico.
Qualche giorno fa a Biella Piazzo è stata restaurata la statua del tenente Mario Cucco. Lui, giovanissimo, non ancora maggiorenne, da studente del Liceo Classico aveva deciso, da volontario, di arruolarsi negli Alpini e grazie ai suoi studi fu nominato ufficiale. Combattè e vinse tante battaglie. Altre ne perse. Fu ferito due volte, si guadagnò due medaglie d’argento e una di bronzo al valor militare. Poco prima della resa del nemico volle uscire dall’ospedale in cui stava trascorrendo la sua convalescenza per tornare al fronte. Tornò così a combattere e otto giorni prima della fine della Guerra morì.
La storia e l’esempio di Cucco, nostro conterraneo, è una delle migliaia di storie di giovani che i giovani d’oggi, attraverso queste celebrazioni, devono ricordare. Una storia di valore e di amore per la propria nazione.
Oggi per fortuna non siamo più in guerra, ma il valore e l’altezza di quegli uomini può ancora essere d’esempio alle future generazioni. E così raccontare la nostra memoria non può essere mai un esercizio senza costrutto.
On. Cristina PATELLI