IL DARDO DEL 15 AGOSTO: SU QUEL PONTE CI SIAMO TUTTI NOI, BASTA CLICK E POLEMICHE, TORNIAMO A PROGRAMMARE IL NOSTRO FUTURO

 

Su quel ponte ci siamo tutti noi. E’ inutile nascondersi, è inutile cercare alibi. Se vogliamo, nemmeno i colpevoli, perché colpevoli lo siamo tutti un po’.

Io che amo le polemiche, che spesso cerco la discussione accesa, non riesco a fare distinguo, in questo caso, tra responsabili della prima ora, della seconda o dell’ultima, tra politiche di centro destra, di centro sinistra o gialloverdi. Preferirei tacere, e preferirei che lo facessero in molti altri.

E così mi limiterò a un paio di considerazioni e poi tornerò ad interrogarmi in silenzio su chi siamo e dove stiamo andando.

Vedo però qual è la considerazione che hanno di noi all’estero. Ho sentito i commenti degli stranieri e ho visto lo sguardo di chi ha commentato: ma certo che crollano i ponti, l’Italia ormai è così, è un paese decadente.

Questo è ciò che si aspettano da noi. Non ci vedono la tragedia imponderabile, la fatalità assurda. No. Purtoppo vi è quasi un senso di macabra aspettativa da parte di francesi e tedeschi.

E’ ciò che mi turba di più, che mi dà più fastidio. Assieme allo sciacallaggio mediatico, la gogna di Facebook.

C’è chi non può vedere la Tav e allora usa la tragedia per ricordare come dovremmo spendere meglio i soldi in manutenzioni e in grandi opere, c’è chi invece ce l’ha col Governo attuale e si scaglia su piani non fatti, su una campagna elettorale perenne senza contenuti.

C’è chi ce l’ha con Renzi e il Pd, i colpevoli di ogni cosa in questo Paese negli ultimi dieci anni, e sembra quasi che quel ponte lo abbiano buttato giù i compagni.

Dovremmo vergognarci. Tutti.

E mentre lo facciamo dobbiamo imparare che esistono piani di manutenzione, interventi programmati ed interventi urgenti. Esistono progetti di sviluppo pianificati, ponderati e la conservazione dell’esistente.

 

Non ci sono scuse: un Paese che cresce deve saper programmare le proprie politiche, deve sapere come sarà fra 10-20 anni e adoperarsi per diventarlo, quel modello immaginato. Deve sapere se un’opera è da fare perché è strategica e se un’altra va rifatta perché obsoleta. E smetterla con i sondaggi online.

Interroghiamoci se negli ultimi 15-20 anni, nel nuovo millennio, questo è stato fatto. Oppure se abbiamo rincorso solo la crisi e lo spread e ci siamo dimenticati della parola sviluppo. Smettiamola di accanirci gli uni contro gli altri sulle facezie e iniziamo seriamente a darci dei nuovi obiettivi.

Perché a crollare, non sarà solo, per quanto sia stata una tragedia immane, un ponte, ma l’intera Italia, assieme al futuro dei nostri figli.