Oggi è la festa della donna: l’8 marzo.
Almeno così la chiamiamo quasi tutti, adducendo ad una sorta di celebrazione che sa di riconoscimento. Lo spirito con cui nacque, tuttavia, è ben diverso dal concetto di festa. Sarebbe infatti più giusto attribuire alla giornata il valore di una riflessione, come dovrebbe essere.
Che festa sia, quindi, nei biglietti d’auguri e nelle celebrazioni informali, ma che possa, più profondamente, ritornare ad essere, questa giornata, la celebrazione della Giornata internazionale della donna, che ha il preciso obiettivo di ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche ottenute dalle donne. Ma anche, e lo constato ancora con profondo rammarico tutti i giorni, di evidenziare le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state, e purtroppo sono ancora, oggetto in molte parti del mondo.
Le violenze sono subdole, non tutte evidenti. A volte il sopruso è strisciante, è malcelato persino negli atteggiamenti e nelle frasi o, peggio ancora, nelle battute degli uomini nei confronti delle donne. E’ vero che le conquiste sono state tante, ma essere donna ancora oggi, nel 2021, è in difficile e doloroso in molti ambiti. L’affermazione della persona, delle capacità individuali, in una donna restano sempre in secondo piano rispetto al sesso.
Questo vale in quasi tutti i settori professionali e vale in politica, mondo che sto frequentando da qualche anno e che non è, nel complesso, esente da responsabilità. Diversamente da certi movimenti femministi che difendono la donna “a prescindere”, io non voglio sostenere la difesa della quota rosa ad oltranza e senza discernimento.
Sono totalmente d’accordo con il direttore d’orchestra Beatrice Venezi, che chiede di non essere chiamata direttrice perché la sua professione ha un nome e quel nome è direttore d’orchestra. Stesso ragionamento che estendo al Presidente di una camera o di un’azienda: è il ruolo ad essere tirato in ballo e le forzature per dare sostegno ad una presunta “forza” femminile non hanno alcun senso. Le donne non vanno difese con forzature che scadono nel ridicolo, servono pari opportunità.
Questo è l’augurio che faccio a tutte le donne oggi: che il mondo finalmente cambi non nel concedervi un appellativo di genere ma delle opportunità identiche a quelle che vengono concesse agli uomini. In tutte le parti del mondo. In questo caso, sì, sarebbe davvero una festa completa.
Cristina PATELLI