IL DARDO DEL 30 DICEMBRE: I voti e le lauree non fanno un ministro. Le difese d’ufficio di Azzolina sorvolano su coerenza e opportunità.

La macchina difensiva dell’onorevole Azzolina, prevalentemente formata da sindacalisti e avvocati amici, è partita alle prime critiche rivolte alla siracusana ministra della Scuola.

La delega di Fioramonti viene divisa (ed è un primo aspetto politico) tra la Cinquestelle che vive a Biella e Gaetano Manfredi, a cui vanno Università e ricerca.

Parte da qui l’osservazione politica della leghista Cristina Patelli.

Non vi è alcuna invidia, come ipotizzato da alcuni.

Vi è la considerazione prettamente politica che la sottosegretaria di un ministro dimissionario, non in un momento qualunque, ma in evidente disappunto nei confronti della reazione del Governo ai suoi progetti su scuola e università in sede di bilancio, sia corresponsabile delle scelte del proprio ministro.

Invece di dimettersi anch’essa, Azzolina accetta la promozione per sostituire il suo ministro.

Già questo potrebbe bastare per fare evitare agli avvocati d’ufficio lo sciorinamento di voti e lauree e soprattutto potrebbe evitare loro l’esercizio palesato di sostenere che con due lauree le competenze sono super mentre con un diploma si è degli ignoranti.

Gli esempi di politici non laureati che sono stati protagonisti della nostra scena politica italiana sono moltissimi: Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Andrea Orlando, Valeria Fedeli per fare qualche esempio a sinistra. Così come esempi si trovano nel centro destra, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni.

Anche lo stesso leader dei 5 Stelle Luigi Di Maio è soltanto diplomato.

E tutto questo per dire cosa? Che è un discorso che non tiene quello dei difensori d’ufficio.

Patelli ha iniziato la carriera parlamentare con la stessa esperienza che aveva Azzolina.

E a prescindere dal titolo di studio, è stato poi il lavoro svolto (e come lo si è svolto) a far maturare esperienza specifica. E meno male che sia così, altrimenti si creerebbe una fastidiosa discriminazione che mi fa specie venga suggerita proprio dai democratici di sinistra o dai grillini alleati del Pd, ossia che solo una parte della popolazione (laureata) possa ambire al Parlamento, luogo invece aperto a ogni rappresentanza, senza discriminazioni.

Altro aspetto poi è la coerenza. L’onestà sempre sbandierata dai 5 Stelle, il loro senso dell’essere trasparenti oltre ogni ragionevole dubbio ormai non vale più.

Da quando hanno deciso di restare attaccati al respiratore del Governo scegliendo il Pd al posto della Lega, anche l’ultimo barlume di quella coerenza che li ha fatti velocemente ottenere molto consenso tra le masse ha lasciato giorno dopo il giorno il passo all’opportunismo personale dei parlamentari e dei senatori.

Le prossime votazioni stabiliranno esattamente quanto questo sarà costato loro, ma intanto il risultato è che pur di non lasciare spazi o perdere poltrone, continuano a rimanere aggrappati ad un ormai piuttosto effimero potere di antica concezione.

E’ questo che sottolinea Patelli. E fa bene.

Perché non importa se una si iscrive ad un concorso prima di essere nominata parlamentare e non importa se si presenta alla Commissione da parlamentare e non da sottosegretario. E’ un concetto che oggi i 5 Stelle avvocati d’ufficio fanno finta di non capire, ma che invece capiscono bene gli elettori 5 Stelle che fuggono via: se anche tutto è stato fatto in tempi non sospetti (iscrizione al concorso), anziché fare dichiarazioni ai giornali dove si alimenta il sospetto che se eventualmente si sbaglia la colpa non sia del candidato, ma della commissione prevenuta, e quindi dove si auspica l’anonimato, si dovrebbe lasciar stare. Rinunciare. E’ questo a cui si riferisce Patelli.

Il comportamento corretto, che non genera sospetto, anzi, che fa onore ad una persona che ha deciso di servire lo Stato in Parlamento è quella di farsi da parte fino alla prossima occasione perché in queste condizioni venire esaminata creerebbe comunque un alone di dubbio a chiunque. E poi basta anche con questa cantilena del “se sospetta qualcosa vada in procura”. E’ evidente in ipotesi che non ci sono stati illeciti, nel momento in cui lo stesso presidente della commissione lo rende pubblico spiegandolo molto bene. Ma si torna al punto precedente, alla differenza tra illecito e opportunità. E presentarsi a quell’esame non era opportuno.

In ultimo, più dei voti, servono le competenze. Non rispondere ad una domanda sull’interculturalità, nel 2019, per un candidato Dirigente Scolastico è molto più grave che non sapere nulla di informatica.

Quest’ultima cosa è anche abbastanza prevedibile visti gli studi della Azzolina. Ma fare il Dirigente non è solo normativa, così come non lo è fare il Ministro. Non è sufficiente almeno.

Se il ministro Azzolina si dimostrerà preparata lo stabiliranno le azioni che farà. Ad oggi molto carenti. E ne cito solo una, che spero presto di vedere condotta in porto con profitto: la Scuola dei Segni di Cossato, fiore all’occhiello italiano che negli ultimi anni consiglieri regionali, parlamentari e senatori, di tutti i colori, non sono mai riusciti a stabilizzare e che continua a rischiare la scomparsa anno dopo anno.

Ebbene: si stabilizzi definitivamente la Lis. Gli dia dignità e finanziamenti. Vediamo su questa prima prova (che non è solo Biellese, perché la Lis è di valore nazionale) come l’onorevole convertirà i suoi voti scolastici in voti di profitto come ministro.