Non c’è un tempo migliore di un altro per affrontare le emergenze e le crisi quelle grosse. Ma di sicuro era difficile trovare un periodo peggiore per il mondo dell’auto. L’emergenza mondiale causata dal virus ha fatto emergere in maniera drammatica, se qualcuno non se ne fosse accorto in precedenza, il momento di profonda crisi dell’automotive.
Il delicato passaggio dal motore termico a quello elettrico, la difficoltà di garantire i volumi di vendita di anni non troppo lontani sono solo due delle emergenze del settore. Se la Hertz (la società leader mondiale negli autonoleggi) dichiara il fallimento delle filiali americana e canadese, se la Renault chiede di fermare ben quattro stabilimenti compreso quello storico di Flins ed il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire – mica il primo che passa per strada – confessa che la Casa della Losanga potrebbe anche sparire dalla scena e se Nissan è pronta a tagliare ventimila posti di lavoro (quasi il 20% del totale della forza lavoro) allora significa che davvero abbiamo un problema tra le mani.
Vuol dire che dovremo dire addio a qualche marchio celebre? Che assisteremo ad altri matrimoni di convenienza tra aziende del settore pur di salvarsi? Significa che diremo addio all’auto che si guida da sola puntando piuttosto ad economizzare le spese? Difficile dirlo, almeno adesso. L’automotive ha iniziato la sua lunga marcia nel deserto che certamente farà morti e feriti ma che probabilmente, come spesso succede nella vita, fortificherà i superstiti se avranno l’intelligenza necessaria per capire quale direzione prendere. Tenendo conto del fatto che il cliente sarà meno propenso di prima – ovviamente, aggiungeremmo – ad aprire il portafoglio per acquistare una nuova quattro ruote.
La prima cosa da capire è quanto durerà la crisi che si sta prefigurando. A voler essere ottimisti possiamo pensare che ci vorranno due anni per rivedere la luce. Un periodo medio-lungo il cui l’automotive, la sua filiera e – non dimentichiamole – le concessionarie patiranno le pene dell’inferno. O dell’infermo. Il secondo punto è che nonostante tutto l’elettrico e l’ibrido (ovvero la commistione tra motore termico e motore elettrico) restano comunque il futuro dell’auto. Il terzo punto è che bisognerà, volenti o nolenti, ripensare tutto il comparto e se il caso mandare in soffitta schemi collaudati che sembravano intoccabili.
Il settore in Italia vale circa il 6% del Pil con un fatturato di 106 miliardi di euro (l’11% del totale italiano) ed interessa circa 275.000 addetti divisi in oltre cinquemila aziende. Una voce importante, quindi, del bilancio nazionale. Ma così non sembra al Governo che nel decreto “Rilancio” ha… dimenticato di inserire delle misure di sostegno – a partire dai conosciuti incentivi alla rottamazione – ad un settore che nel mese di marzo ha registrato un calo dell’85% delle immatricolazioni ed arrivato al 98% in aprile.
“È evidente – sottolinea Michele Crisci, Presidente dell’UNRAE, l’Associazione delle Case automobilistiche estere in Italia – la necessità di una accelerazione da parte del Governo, che faccia immediatamente seguire azioni efficaci alle proprie buone intenzioni: serve un decreto “verticale”, con misure specifiche per il settore automotive. Si tratta di un settore assolutamente strategico per il Paese, con il suo effetto moltiplicatore sull’economia ed il suo contributo al gettito erariale pari a circa 80 miliardi di euro annui. D’altro canto, con la ripresa delle attività nella “Fase 2”, ancora più centrale è il ruolo dell’automobile nella mobilità, non solo quella all’interno dei grandi centri, ma anche quella dei pendolari, interurbana e autostradale”. Il Governo invece ha preferito inserire nel decreto il bonus di 500 euro per la mobilità alternativa, ovvero monopattini e bici elettriche. Una scelta che ricorda tanto quel “S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche” che la storia attribuisce alla improvvida Maria Antonietta, consorte di Luigi XVI, poi travolti entrambi dalla Rivoluzione francese.
Gian Domenico LORENZET – #DARDOMENICO